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mercoledì 13 maggio 2009

Uochi Toki - Libro Audio

"Libro Audio", audiolibro, Offlaga Disco Pax? Non proprio.
A differenziare lo spoken word autobiografico degli Uochi Toki è il tono da arringa di Napo e le basi electro noise di Rico.

Un libro composto da dodici capitoli, o meglio dodici storie a sè stanti, una specie di Antologia di Spoon River rap.
Mondi indipendenti ma riconducibili tutti all'universo di Napo. Realtà (o irrealtà) soggettive non necessariamente da intendere, nè condividere.

Analisi degli spazi, percezione di ambienti, rapporti umani, percorsi mentali strettamente connessi alle basi, esemplare in merito Il Piromane con il piano che segue la follia della psiche del protagonista, o la raffica di frasi de Il Claustrofilo.

Comincio a vedere cose che non esistono. 8

lunedì 13 aprile 2009

Ministri - Tempi Bui

I Ministri hanno tutto per essere insopportabili.
Ragazzi trentenni, giacche che nemmeno i Coldplay, sonorità edulcorate.

"Tempi Bui" però è un album di rock semplice, diretto, privo di metafore.
Davide Autelitano, Federico Dragona, Michele Esposito, riescono a non essere ridicoli pur impregnando i propri testi di politica.

Scenari apocalittici ma futuribili, superficialità di rapporti e modelli, precarietà, inazione sociale, critiche all'incriticabile democrazia: questi i tempi bui urlati dai Ministri.

In Italia non sono molti i gruppi che riescono a fare pop-rock per giovanissimi con una certa credibilità.
6

lunedì 6 aprile 2009

White Lies - To Lose My Life

Una settimana dopo l'uscita, per una sola settimana, album più venduto in UK. Che i giovani inglesi non pratichino il download, più o meno legale, al fine di valutare la qualità dei dischi? Difficile.

Inspiegabile.

A tratti simili ai Killers più danzerecci e pomposi. Gli Editors nel DNA.
Si potrebbero chiamare in causa anche gli Interpol, ma sarebbe troppo (Avessi detto).

Un disco inutile ma innoquo.
4

venerdì 3 aprile 2009

Le Rapide: Dente - Roberto Angelini - Zu

L'amore non è bello ma fragile e provvisorio, forse oggi più che ieri, ad ogni modo perfettamente attuale nella sua precarietà.
Nasce, si nutre delle sue speranze, delle proprie illusioni, in costante divenire, in un instabile equilibrio difficile da mantenere.

Dente ci illustra l'instabilità dell'amore attraverso tredici tracce sussurrate con voce piccolina, ma ben affilate da un paziente lavoro di lima.
Quando ci si trova di fronte ad un lavoro di pop scanzonato si chiama spesso in causa Battisti. In questo caso è inevitabile.
Canzoni che entrano subito in testa e vi rimangono per la loro semplicità pop. Ed una leggerezza amara ricamata da chitarra, pianoforte e fiati.
Tredici gelati al veleno.
6.5

Che Roberto Angelini avesse aspirazioni cantautorali non ero a conoscenza. Daltronde se ti proponi al pubblico con un pezzo quale Gattomatto, forse tutte le colpe per questa ignoranza non sono mie, anche perchè non è detto che una seconda occasione si presenti.

"La Vista Concessa", come un racconto intimo, ripercorre le vicende artistiche dell'autore per poi sfociare in considerazioni esistenziali.
Una società fondata sull'apparenza (Vulcano), una vita trascorsa ma non vissuta pienamente nelle felicità personali (Fragile Fragilissima Felicità), mentre sarebbe opportuno inseguire i propri sogni senza accontentarsi mai (La Vista Concessa), pur essendo preferibile talvolta non conoscere i meccanismi che regolano la nostra vita (Beato Chi Non Sa).

Tutto questo con atmosfere tipiche di un altro cantautore romano: Riccardo Sinigallia. 6

Gli Zu sono in tre, italiani, di Roma. Hanno una discografia impressionante alle spalle che li ha portati a pubblicare Carboniferous per la Ipecac di Mike Patton, presente in prima persona in due tracce del disco.

Il loro ultimo lavoro è il risultato hardcore, math-noise e influenze jazz.
Non proprio la mia tazza da the, ma quando si sa suonare bene tutto è godibile.

La batteria fondamentale di Jacopo Battaglia, il basso di Massimo Pupillo, il sax aggressivo di Luca Mai si intrecciano con cura.
Cacofonie precise, distribuzione controllata della rabbia, distorsioni viscerali, struttura granitica. Nulla lasciato al caso.

Gli Zu, insomma, spaccano. Tutto. 7.5

sabato 21 marzo 2009

VV. AA. - Il Paese è Reale

Provare a cambiare la fortuna della musica indipendente italiana. Provare a cambiare la fortuna della musica italiana. Diciannove artisti per un paese migliore?
Gli Afterhours reduci da Sanremo offrono a diciotto colleghi l'opportunità di mostrare la propria arte ad un pubblico più ampio (Vedasi ad esempio la copertina collettiva su Xl).

In apertura il pezzo "sanremese" che dà il titolo alla compilation, espressione di ciò che è il gruppo oggi e che pertanto avrebbe trovato perfetta collocazione ne "I Milanesi Ammazzano Il Sabato". Ma il peso degli Afterhours non si limita a questo, considerati i side project di Gabrielli (Calibro 35 e Mariposa) e le apparizioni di D'Erasmo nelle canzoni di Basile e Angelini.
Esponenti questi ultimi della canzone italiana d'autore, non soli nel disco ma ben accompagnati dai vari Benvegnù, Parente, Dente. Ne risulta insomma un paese ancora legato a questa tradizione, con ottimi e variegati risultati, tra questi si distingue Io e Il Mio Amore di Benvegnù, uno slancio passionario perfetto all'occasione, non a caso seconda traccia seguente la titletrack.

Apprezzabile il lavoro de Il Teatro degli Orrori che certo non si tirano indietro se c'è da proporre un testo di attivismo politico. Refusenik presenta tutte le caratteristiche tipiche della loro musica: rock nevrotico, folate di chitarra elettrica, potenza comunicativa rara in Italia.

Per gli Zu andrebbe aperto un capitolo a parte, Maledetto Sedicesimo è una traccia già presente in "Carboniferous" in qualità di ghost track, da questo si capisce come il pezzo non sia tra i più efficaci del gruppo ed infatti non vale la considerazione internazionele che il gruppo sta suscitando.

Verso la fine della raccolta i Marta Sui Tubi. Mercoledì è un pezzo innoquo visti i loro mirabili precedenti, un peccato perchè la trama di ukulele e violoncello è notevole a mancare in questo caso è la voce di Giovanni Gulino.

I pezzi in inglese mi lasciano perplesso (Settlefish e Disco Drive), in alcuni episodi indifferente (Toys Orchestra), meglio, ma non troppo, la polistrumentista Antolini e la sua Venetian Hautoby.

Resta una buona raccolta, un progetto ottimo. 7

venerdì 5 dicembre 2008

Fleet Foxes - Fleet Foxes

Si potessero dipingere su tela i suoni dei Fleet Foxes si vedrebbe un quadro dalle infinite sfumature, dai colori pastello velati, illuminato ed illuminante. Non abbagliante, ma dotato di una luce pura, talvolta filtrata dai rami degli alberi, quella luce fresca mattutina che sa di rugiada.
Difficile immaginare una copertina più adatta al loro caso dunque. Naturalmente fiamminghi.

Un bosco, un ruscello e folletti saltellanti al ritmo della corrente.
Armonie celestiali, cori puri e folk dalle percussioni tribaleggianti a tratti, per uscire dalla metafora.

Ed è proprio questa naturalezza, inteso come legame con la natura, a non ammettere paragoni con Brian Wilson e soci. Il gruppo di Seattle di "beach" non ha proprio nulla.
Se le armonizzazioni vocali richiamano ancora (e soprattutto) Jim James ed i My Morning Jacket, chitarre pizzicate, ritmi minimali (ma efficaci), allontanano i Fleet Foxes dalle visioni elettriche di questi ultimi.

Lontano dalle spiagge, dalla modernità, all'interno di un libro di fiabe. 8/10

martedì 18 novembre 2008

Le Rapide

I Marta Sui Tubi crescono ed aggiungono la tastiera di Paolo Pischedda alle proprie sonorità. Componente questa subito accordata agli altri elementi, mantenendo il loro tipico stile schizofrenico, disturbato, psichedelico, isterico, contorto, caotico ma sapientemente controllato.
E' così che l'arpeggio di Carmelo Pipitone non deve reggere da solo l'impalcatura musicale senza per questo diventare un accompagnamento sterile.
I Marta Sui Tubi ci provano sul serio a riscrivere le regole del pop italiano, anche se in "Sushi & Coca" non mancano pezzi talmente classici da non emergere alla kermesse sanremese.
6.5

Circa un anno fa il demo de "Le Luci Della Centrale Elettrica" catalizzò l'attenzione del circuito indipendente. Se il demo ha maggior passione o cattiveria, solo i gelosi di chissà quale scoperta primaria possono affermare una superiore qualità di questa versione rispetto all'album "Canzoni Da Spiaggia Deturpata", in cui Vasco Brondi si avvale della collaborazione di Giorgio Canali.
Canzoni ricche di angoscia, inquiete, urlate contro il cielo metropolitano, ricche di citazioni e neo-citazioni; Da Boris Vian a Rino Gaetano, autore quest'ultimo che Vasco ricorda, sebbene diversamente monocromatico, grigio, noir, post-moderno. 7

"Contatti" ci presenta un Bugo in versione elettro-pop alle prese col sintetizzatore.
Diretto, dal lessico semplice, ma cantore di crisi: sociale, relazionale, dei limiti strutturali del progresso, del tasso variabile dei mutui, il tutto su una base da dancefloor.
In mezzo ballatone d'amore a diversi gradi, dall'intimista Sesto Mese alla estiva Love Boat.
In realtà in questa versione il Bugatti funziona e non. Trascinanti pezzi come Nel Giro Giusto e C'è Crisi. Trascurabili invece altri. Fa niente. 5

Il Genio: la tastiera di Gianluca De Rubertis e la voce di Alessandra Contini che giocano con le sonorità anni sessanta francesi, vien da sè il richiamo alla coppia Gainsbourg-Birkin.
Canzoncine pop, vintage, easy listening.
Il gioco funziona a tratti, la voce leggera di Alessandra Contini ammalia, ansima accattivante, inganna, ma ci si farebbe legare all'albero di una nave pur di partecipare a questo inganno.
Ma, si sa, il gioco è bello quando dura poco, ed infine sarebbe preferibile cerarsi le orecchie. 4.5

lunedì 10 novembre 2008

TV On The Radio - Dear Science,

Conosciuti con "Desperate Youth, Blood Thirsty Babes" e praticamente abbandonati con esso. A "Return To Cookie Mountain" non ricordo di aver concesso una vera possibilità.

Quando tante idee confluiscono in un unico progetto non è sempre facile decifrarne i contenuti. Io i TV On The Radio non li capivo.
Come leggere un testo in cui le parole fossero anagrammate senza un senso preciso.

Ma non tutto ciò che è caotico è incomprensibile. Anche i professori di Cambridge lo sanno: non imrtpoa cmoe saino sritcte le plaroe, se la pmira e l'umitla ltertea snoo al ptoso gtusio ttute le artle psonoso ersese al ptoso sgbiatlao, il cerlvelo sraà comquune in gdrao di decraifre tttuo.
I TVOTR con "Dear Science," mettono la prima e l'ultima lettera al posto giusto e si fanno capire.
In questo senso si fanno pop, più accessibili. Sonorità dark lasciano spazio alla black music, al funk.

Parlano la lingua di Prince ma anche di Bowie, Talkin Heads e Peter Gabriel, ciononostante, questo non pregiudica la comprensione a chi non ha mai amato in modo particolare nessuno degli artisti citati.

"Dear Science" vi prenderà al primo ascolto o mai più, un disco a cui dare almeno una possibilità. 9/10

martedì 7 ottobre 2008

Le Rapide

Recensioni in pillole.

L'ascolto in streaming del disco degli R.E.M. non mi colpì in modo particolare. Una migliore qualità dell'audio non ha cambiato molto l'impressione iniziale.
Un album davvero rock, nervoso, distorto, rabbioso, rapido, che sicuramente allontana il gruppo dalle atmosfere delle più recenti uscite di Stipe e compagni, riportandoli a sonorità che non appartengono loro in questa decade.
Daltronde questo chiedeva il loro pubblico, ed il gruppo ha risposto. In questo senso la prima traccia,
Living Well Is The Best Revenge, è una dichiarazione d'intenti.
Un disco da amanti del distorsore, dei chitarroni, da du
ri e puri del rock. 6

Un discorso non dissimile al disco di cui sopra valga per l'ultimo lavoro di Nick Cave. Si torna sui passi di un sentiero conosciuto e, proprio per questo motivo, lo si affronta con disinvoltura.
I Bad Seeds accompagnano l'incedere sermonico della voce di Cave, chitarre fulminanti e organetto. Il tutto strizzando l'occhio al popolo, al mainstream, alla consacrazione (Lie Down Here).

"Dig !!! Lazarus Dig !!!" non è poesia, è rock. 7


A Jack White di certo non mancano nel curriculum collaborazioni nei più diversi dischi e progetti (l'ultima, recentissima, lo vede protagonista con Alicia Keys della colonna sonora per l'ennesimo capitolo della serie di James Bond). I Raconteurs non sono un side-project.
Fatta questa premessa si può iniziare a disquisire su
un album di rock fondamentalmente classico; in "Consolers Of The Lonely" potete incontrare, Aerosmith, Zeppelin, Beatles, Queen, Dylan, White Stripes ça va sans dire. Non è niente di tutto ciò, sono i Raconteurs.
Nonostante i tanti richiami non scambierete mai questo lavoro per un disco degli anni '70.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
8.5

Un altro che certo non si nega a collaborazioni è Mark Lanegan, al punto che sarebbe cosa inopportuna in questa versione ristretta elencarle tutte.
"Sunday Ay Devil Dirt" è il secondo lavoro con Isobel Campbell. Un disco senza troppe pretese, lo svago tra i tanti impegni, ballate rette spesso solo da chitarre acustiche e cantato. Specie se si considerano pezzi più scanzonati quali il country/pop di Keep Me In Mind Sweetheart, Something To Believe, Trouble, Sally Don’t You Cry.
Insomma se si invertisse l'ordine delle tracce avremmo un quadro completamente differente. Nella prima parte sonorità malinconiche si fanno drammatiche, se non disperate, e la voce femminile diviene poco più di un'eco evanescente, il vento nella tempesta.
La complicità tra Campbell e Lanegan è cresciuta rispetto a "Ballad Of The Broken Seas" al punto da non escludere una terza volta. E poi basta, forse. 7

martedì 2 settembre 2008

Sigur Rós - Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust

Una celebre frase di Dirksen fa: "La vita non è nulla di statico. I soli che non cambiano mentalità sono degli incapaci chiusi in asili per deficienti e coloro che stanno al cimitero".
I Sigur Rós sono ancora vivi.

"Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust" è il disco più estivo che i Sigur Ròs abbiano mai inciso. Non aspettatevi certo canzoni da ascoltare sotto l'ombrellone, più semplicemente un disco che concede più spazio all'allegria.
Dalla prima traccia, Gobbledigook, un singolo rapido, immediato, esplosivo, tribale, qualcosa di eccezionale nella discografia della band islandese.

Il cambiamento si manifesta così. Nella festosità di Inní mér syngur vitleysingur, nel ritmo
tambureggiante dei primi brani, che definire pop non pare poi così eccessivo, riuscendo dove i Coldplay di "Viva La Vida" avevano fallito (Við spilum endalaust).

Ma dura tutto troppo poco, soprattutto p
er chi abituato ai classici tempi di Jónsi e compagni.
Quando i ritmi calano, quando arriva l'autunno e le atmosfere sognanti, il disco si fa carico dell'eredità di "Agaetis Byrjun" e "()", non essendo nessuno dei due. Da ascoltare in questo senso Fljótavík ed Ára Bátur

Il cambiamento non è soltanto necessario per la vita. È la vita. 8

lunedì 14 luglio 2008

The Rascals - Rascalize

I Rascals sono il gruppo di Miles Kane, attore coprotagonista insieme ad Alex Turner del progetto Last Shadow Puppets.
Se le sonorità di "The Age Of The Understatement" del tutto si distaccano dagli Arctic Monkeys, tracce di queste sono presenti in "Rascalize", mancano però la
London Metropolitan Orchestra, James Ford ed il talento di Alex Turner.
Il risultato di questa sottrazione è un disco folk-punk da primi The Coral un poco più noiosi.

Con alcune eccezioni, come Stockings To Suit (molto Arctic Monkeys), e la conclusiva I'll Give Your Sympathy che quasi quasi ti verrebbe voglia di riascoltare tutto almeno un'altra volta.

No, meglio di no. 5.5

giovedì 26 giugno 2008

Portishead - Third

La fama dei Portishead non appartiene a questa decade così come la fortuna del trip-hop.

Ad undici anni di distanza dall'album omonimo, a quattordici dall'esordio "Dummy", il gruppo di Bristol torna con Third, loro terzo album appunto.
In molti si sarebbero accontentati di sentire un'altra Glory Box, ma usando le parole di Geoff Barrow erano cose già fatte, perchè rifarle?
Ed i Portishead vanno oltre.

Se Dummy è ormai manifesto di un genere musicale, Third si manifesta dai primi ascolti come un disco fuori dal tempo.

Third è la sofferenza dell'introspezione.
Non è un caso che la parola "mind" ricorra più volte nei testi delle canzoni: la mente.
I pensieri personali, una ricerca interiore, attraverso i dubbi dell'esistenza.
Dubbi che obbligano a scelte. Scelte del singolo, che nel fallimento non possono trovare altri responsabili.
E se la vita è fallimento, ecco che la mente diviene unico spazio, impossibile, in cui fuggire dalla realtà.
Una realtà in cui incontri, relazioni, amore, fallimentari sono causa di delusione e dolore.

La musica riporta queste emozioni, vissute nel dolore della voce di Beth Gibbons, immersa in spigolosità dark industriale, tra luci ma soprattutto ombre sonore. Sonorità che trasmettono angoscia ed ansia attraverso undici perle.

A cominciare da Silence che, a proposito di angoscia, nel momento di maggior tensione si interrompe bruscamente.
In The Rip con un arpeggio delicato si viene prima cullati da Morfeo tra le soffici nuvole di un sogno, per poi essere lasciati precipitare incoscienti. E vengono in mente le parole di Hunter: "And if I should fall, would you hold me?".
Seguono le mitragliate elettroniche dell'apocalittica Machine Gun, dove a fare strage sono ancora le corde della Gibbons.

Esteja alerta para a regra dos 3, o que você dá, retornará para você. Essa lição você tem que aprender, você só ganha o que você merece.
Where is my mind? 10/10

giovedì 19 giugno 2008

Coldplay - Viva La Vida

Le vostre canzoni sono troppo lunghe, siete troppo ripetitivi, usate troppo spesso gli stessi effetti, le cose grandi non sono necessariamente di buon livello; usate troppo gli stessi sound ed i vostri testi non sono abbastanza buoni.
Questo il giudizio di Brian Eno sulla musica dei Coldplay, prima di mettersi al lavoro con la band.

Un lavoro poco fruttuoso.


A partire dalla title-track, una canzoncina pop ritmata da archi e timpani, che nel suo piccolo, riporta il problema di molte canzoni di "Viva La Vida".
La band di Chris Martin pretende troppo e non chiude le canzoni nel momento giusto.
Li salva, in parte, il singolo, Violet Hill, pezzo forte di un disco che dimenticherò facilmente.

Prima di azzardare un nuovo album attendere almeno undici anni, pare funzioni. 4.5/10

venerdì 13 giugno 2008

Afterhours - I Milanesi Ammazzano Il Sabato

L'ultimo periodo degli Afterhours è stato caratterizzato dalla versione inglese di "Ballate Per Piccole Iene" (Ballads For Little Hyenas) e dal successivo passaggio dalla Mescal alla Universal.

In poche parole l'Italia inizia a stare stretta al gruppo di Manuel Agnelli, ed in questo senso vanno visti i recenti concerti oltreoceano e le numerose partecipazioni internazionali nell'ultimo album, da John Parish, a Greg Dulli e Stef Kamil Carlens (dEUS).
Daltronde la promozione incombe e nonostante questo fra la mia gente siamo tutti ancora liberi.

"I Milanesi Ammazzano Il Sabato" non è un album monocorde alla "Ballate Per Piccole Iene", da questo punto di vista ricorda invece lo stile di "Hai Paura Del Buio?".
In Pochi Istanti Nella Lavatrice sembra di sentire T.V. Eye degli Stooges, Dove Si Va Da Qui ricorda gli Offlaga Disco Pax, la title-track sembra fatta apposta per la voce di Mark Lanegan (e non è detto che non lo sia in un'eventuale versione "The Milanese Kill Saturday").
Poi ci sono le distorsioni psichedeliche di Riprendere Berlino, gli archi a sovrastare il rock in 9/4 di E' Solo Febbre, il falsetto in Tutti Gli Uomini Del Presidente.
Se i temi principali sono ancora il sesso e l'amore, quest'ultimo si tinge di un colore nuovo, quello della figlia di Agnelli: Emma.
Ed è attorno a questa nuova figura che la famiglia diventa un ulteriore argomento di riflessione.

Dalla famiglia alla casa, la visuale si allarga a tutta la città.
Non la Milano di Scerbanenco bensì degli Afterhours.
Chi salverà la mia città? Si chiede il frontman della band.
Una città bilancio-centrica, dove gli eroi in cui confidare sarebbero anonimi blogger, col maglioncino, uniti contro il sistema?
Ed è anche in quest'ultima affermazione che ritroviamo l'ironia delle origini.

Mi fotte un cazzo cosa pensi di me. 7,5/10

giovedì 22 maggio 2008

Foals - Antidotes

I Foals volevano essere i Klaxons del 2008, vantavano nel curriculum la "stima" di NME, la produzione (fallita) di Dave Sitek dei Tv On The Radio e la raccomandazione dei Bloc Party.

A proposito di Bloc Party, il legame con questi ultimi è profondo e non può non sentirsi nel disco, anche se il rapporto album-live è antitetico rispetto al gruppo londinese.

Anticipato (di molto) dai due singoli Hummer e Mathletics, assenti nella versione standard dell'album, in "Antidotes" si incontrano generi diversi. Dal math-rock simil Battles, esemplari in merito Two Step, Twice e l'esordio di Heavy Water, alla dance di Cassius e Baloons, al punk-funk da Chk Chk Chk, il tutto facendo l'occhiolino alla pop music.

Insomma un calderone di cui rimane poco.
Episodio migliore: The French Open.

Deludono le attese. 5.5/10

domenica 18 maggio 2008

The Last Shadow Puppets - The Age Of The Understatement

E venne il giorno in cui nel ragazzo prodigio di terra d'Albione, nacque il bisogno di uno spazio personale.
I Last Shadow Puppets nascono da ciò, Alex Turner e Miles Kane ombre di altri due gruppi: Arctic Monkeys e Rascals.


I due amici si cimentano in un genere estraneo alle sonorità dei gruppi d'appartenenza, un progetto più maturo, che nel rendere omaggio all'Inghilterra degli anni '60, ricorda una versione epica dei Coral (altri amici del gruppo di Sheffield) o semplicemente supportati dalla London Metropolitan Orchestra.

All'ombra dei due ventenni infatti, oltre al produttore James Ford (ex Simian Mobile Disco, producer già di Klaxons e Arctic Monkeys), si "nasconde" Owen Pallett, a cui viene affidata la direzione dell'orchestra, il quale riesce a non rendere pesanti i ricchi arrangiamenti di "The Age Of The Understatement".

Galoppano i violini, urtano con sonagli e fiati, accompagnano trionfalmente le voci omofone di Turner e Kane. Voci che graffiano in I Don't Like You Anymore, giocano in Standing Next To Me, esultano nella title-track.
Un album dall'atmosfera country-western, musicalmente magnetico, che tiene in tensione l'ascoltatore fino al congedo eccessivamente melenso.

E si prendono il lusso di relegare In The Heat Of The Morning, meravigliosa cover di Bowie, al ruolo di b-sides. 8.5/10

lunedì 12 maggio 2008

The Mae Shi - Hlllyh

Dei Mae Shi in Italia hanno parlato in pochi, passato inosservato l'esordio nel 2004 con "Terrorbird", "Hlllyh" non ha goduto di maggior notorietà.

Che significa Hlllyh? Nulla probabilmente, come non significa nulla, almeno apparentemente, la musica della band.
Casino parecchio, un concentrato di suoni che rende complicato inquadrare un genere. Post-punk? Limitativo.

Gli undici primi e trentasette secondi di Kingdom Come costituiscono un quarto del disco.
Pezzo centrale in tutti i sensi, che parte dalla campionatura di Pwnd dilatandone la dimensione temporale, fino a degenarare in virtuosismi (?) dance privi di significato.

"Hlllyh" ricorda "Mirrored" dei Battles.
Un album immediato, che rivela da subito le sue qualità, non lascia però il desiderio di essere riascoltato all'infinito, risultando infine anche pesante.

I Mae Shi si nascondono all'inizio dietro l'indie-pop di Lamb and Lion, possiedono tra le loro cartucce brani simpatici come Young Marks. Rallentano (Book of Numbers), scoppiano (Party Politics) ed infine nella title-track si rivelano davvero capaci.
La straordinarietà della loro musica risiede nel caos dominante che i giovani di Los Angeles sanno addomesticare a loro piacere.

Se il posizionamento di Kingdom Come sembra dare stabilità all'album, la verità è che i Mae Shi sono pazzi e la loro musica folle (Valgano come esempio gli ultimi trenta secondi di Divine Harvest).

Pazzi che si vogliono divertire. 8/10

domenica 4 maggio 2008

The Niro - The Niro

Presentato al recente concerto del primo maggio da Santamaria come il ragazzo (classe 1978) che ha costruito la sua fortuna grazie al fenomeno myspace (ognuno ha gli arctic monkeys che si merita): The Niro, il cantante romano fisicamente simile a Ian Curtis, musicalmente a Jeff Buckley.


Come intuibile dal suo nick name sul forum del mensile musicale "Il Mucchio", preferirebbe essere accostato ad Elliott Smith piuttosto che al Buckley che questo blog vuole in qualche modo ricordare.
Purtroppo però non fa nulla per evitare il paragone, che risulta inevitabile ogni volta che fa vibrare le corde vocali, ad ogni falsetto, all'ennesimo "gridolino".
Inoltre The Niro pur cimentandosi nell'album con diversi strumenti musicali, predilige infine la chitarra, strumento prediletto di Jeff. Resta solo che si metta a suonare nei locali...

Dalla pagina myspace, all'America per aprire i concerti di Deep Purple, Okkervill River, Isobel Campbell, al contatto col manager Chris Hufford (vedi Radiohead), al contratto con la Universal da cui scaturirà l'album omonimo.

"The Niro" non offre nulla di nuovo al mondo della musica, ma resta comunque un ascolto piacevole, soprattutto se si chiudono gli occhi liberando la mente da scomodi preconcetti.

Ed in merito gli ultimi ascolti che ho fatto si sono rivelati i migliori.
Dapprima in macchina, la notte alle porte, corpo libero di essere trasportato, mente libera di essere cullata.
Ora, alla sola luce del monitor del portatile.
Solitari viaggi notturni, fisici e psichici.
I will live my fate.

Mettendo da parte per un attimo le influenze musicali, in questo ambiente, Baisers Volés è il pezzo che non ti aspetti.
Canzone che inizia con la voce di Jeanne Moreau, tratta dal film “Jules e Jim” di Truffaut, si snoda attraverso arpeggi che diventano schitarrate con l'evolversi del brano, fino all'implosione.

Di Jeff Buckley già ne esiste uno e di Buckley addirittura due. 6/10

lunedì 21 aprile 2008

MGMT - Oracular Spectacular

I MGMT (dicasi management) li avevo lasciati con queste parole:

"A tratti molto convincenti, non so quanto lo sarebbero in un album completo".

Oracular Spectacular è arrivato ed i MGMT non mi hanno convinto.
Indubbio il fatto che Kids e Time To Pretend siano canzoni fuori dall'ordinario, non in grado però, di reggere da sole l'intero album.

Il disco suona compatto, una psichedelia anni 70, alla Flaming Lips, con tracce di Bowie.
Scorrendo i brani, si fanno ascoltare anche Weekend Wars ed Electric Feel.
Il resto è trascurabile, a tratti insopportabile; valga per tutte la ridondanza di The Youth.

Oracular Spectacular è Time To Pretend.
Il passaggio è da: "fingere non sai più fingere" a "it's time to pretend".

Let’s make some music, make some money, find some models for wives. I’ll move to Paris, shoot some heroin and fuck with the stars.
Forget about our mothers and our friends. We were fated to pretend.
We’ll choke on our vomit and that will be the end. We were fated to pretend.

6/10

giovedì 10 aprile 2008

Lightspeed Champion - Falling Off The Lavender Bridge

I Lightspeed Champion è Dev Hynes (alla faccia della concordanza tra soggetto e verbo) ed è tutt'altra cosa rispetto ai Test Icicles.


Hynes si reinventa cantautore pop-folk alla Badly Drawn Boy, presentandosi secondo occasione munito di galletto, lepre o cerbiatto, pseudo genietto dall'aria all'occorrenza nerd e non a caso fissato con Guerre stellari.
E fin qua tutto piuttosto detestabile.

Falling Off The Lavender Bridge è un disco al contempo leggero e pesante, nel suo sapore zuccherino da assaporare a piccole dosi.
I pezzi si susseguono in un incontro ben ponderato di archi, schitarrate, fiati e cori femminili.
Melodie dolci, che nascondono anche tristezza, sconfitte, sesso.

Un disco compatto dal quale emerge Midnight Surprise, pezzo che, in quasi dieci minuti, frena ed accelera in un'aritmia controllata.
Poi c'è Galaxy Of The Lost, il singolo "palindromo" dall'inizio preoccupante, che in breve si scioglie al ritmo della chitarra elettrica, per terminare lentamente, in overdose di dolcezza così come era iniziata.
Con Falling Off The Lavender Bridge ci si tuffa nelle emozioni di Dev Hynes. 8.5/10