Si potessero dipingere su tela i suoni dei Fleet Foxes si vedrebbe un quadro dalle infinite sfumature, dai colori pastello velati, illuminato ed illuminante. Non abbagliante, ma dotato di una luce pura, talvolta filtrata dai rami degli alberi, quella luce fresca mattutina che sa di rugiada.
Difficile immaginare una copertina più adatta al loro caso dunque. Naturalmente fiamminghi.
Un bosco, un ruscello e folletti saltellanti al ritmo della corrente.
Armonie celestiali, cori puri e folk dalle percussioni tribaleggianti a tratti, per uscire dalla metafora.
Ed è proprio questa naturalezza, inteso come legame con la natura, a non ammettere paragoni con Brian Wilson e soci. Il gruppo di Seattle di "beach" non ha proprio nulla.
Se le armonizzazioni vocali richiamano ancora (e soprattutto) Jim James ed i My Morning Jacket, chitarre pizzicate, ritmi minimali (ma efficaci), allontanano i Fleet Foxes dalle visioni elettriche di questi ultimi.
Lontano dalle spiagge, dalla modernità, all'interno di un libro di fiabe. 8/10
venerdì 5 dicembre 2008
Fleet Foxes - Fleet Foxes
Pubblicato da ILNomeNonConta alle 23:55
Etichette: fleet foxes, recensione
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